IL GRANDE INQUISITORE
da Fedor Dostoevskij
regia Daniele Salvo
con Daniele Salvo, Melania Giglio, Daniele Ronco
scene Alessandro Chiti
costumi Daniele Gelsi
luci Giuseppe Filipponio
musiche originali Patrizio Maria D’Artista
produzione Centro Studi Ivanov (Roma) con il contributo di GAZPROMBANK/Fahrenheit 451 Teatro / Teatro Maria Caniglia (Sulmona) / Mulino ad Arte
NOTE DI REGIA
Millecinquecento anni dopo la sua morte, a Siviglia, Cristo torna sulla terra. Cammina per le strade della città spagnola dove, alla presenza di tutti i cittadini, il cardinale Grande Inquisitore sta consegnando al rogo un centinaio di eretici. Il suo arrivo è silenzioso, eppure il popolo lo riconosce, lo circonda, è pronto a seguirlo. Ma in quel momento il Grande Inquisitore attraversa la piazza, si ferma a guardare la folla, incupito. Poi ordina alle sue guardie di catturare Cristo e rinchiuderlo in prigione. Nell’oscurità del carcere, il vecchio e potente ministro della Chiesa pronuncia contro il Messia un fortissimo atto d’accusa, condannandolo a morte. In questo episodio dalla dignità autonoma dei Fratelli Karamazov, Fedor Dostoevskij afferma il proprio pensiero filosofico-religioso: la libertà dell’essere umano si basa su una fede senza dogmi e miracoli, senza gerarchie e autorità, contrapposta alla dottrina che in nome di un mandato superiore e indiscutibile sottrae agli uomini la consapevolezza di sé e il libero arbitrio. La massima sofferenza dell’uomo sta infatti in questa contraddizione, vivere diviso tra il desiderio di una tutela che lo sollevi dal tormento del decidere e l’aspirazione alla libertà individuale.Un conflitto che coinvolge tutti i popoli, in tutte le epoche, più che mai cruciale nella modernità. Fedor Dostoevskij è architetto di emozioni. La sua scrittura opera un vero e proprio sezionamento dell’animo umano. Lui non ha paura di affrontare le zone più oscure, i recessi più segreti, i comportamenti più sconvolgenti, le fragilità più assolute degli “uomini” che popolano le sue opere. I suoi non sono personaggi, ma “personae” in carne ed ossa, colme di contraddizioni, ansie, paure, aspirazioni, desideri, velleità, timidezze ed istinti ancestrali. Nelle sue confessioni a capofitto, sentiamo pulsare il sangue, possiamo sentire il respiro, possiamo toccare il corpo delle sue creature. Non si tratta di invenzioni letterarie, ma di vere proprie “invenzioni umane”, creazioni sconvolgenti e sconcertanti che ad ogni lettura si rinnovano e ritrovano la propria forza e vitalità in moltiplicazioni e rifrazioni infinite. La modernità di Dostoevskij è indiscutibile e tangibile in ogni opera, in ogni parola: la sua scrittura affronta i grandi dilemmi irrisolti dell’umanità, le grandi rimozioni dei nostri tempi, i destini dell’uomo. Affrontare le parole di Dostoevskij a teatro, significa obbligare l’interprete ad un lavoro serrato sull’emotività e sulla presenza: non è possibile mentire, applicare stili precostituiti o cliché recitativi. E’assolutamente necessario raggiungere temperature emotive altissime, cercare una “verità” ed una credibilità senza filtri. La scrittura di Dostoevskij induce a riflessioni profonde sul ruolo dell’Arte nella nostra società e sulla sua funzione catartica, preziosa per decodificare la realtà presente e le sue mille sfaccettature. Per usare un’espressione di Ionesco “Tutti gli uomini recitano, tranne alcuni attori”. E’ davvero così. Per affrontare Dostoevskij, per decodificarlo e comprenderlo dal suo interno è necessario smettere finalmente di recitare, azzerare lo stile, indagare il testo da vicino, in un confronto serrato con sé stessi ed i propri fantasmi, senza nessuna paura.